Un governo fragile che non cade

di Paolo Lingua

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Un governo fragile che non cade

Il governo Conte non è caduto, come era del resto prevedibile. A nessuno dei partiti che lo sostengono interessa andare alle elezioni anticipate, come sarebbe inevitabile in un caso del genere. Matteo Renzi ha fatto la voce grossa con il ministro Bonafede, ma solo per far pesare il suo partiti che è forte e determinante in tutti e due i rami del Parlamento, in particolare al Senato. Ma,a che se non sappiamo con esattezza i contenuti dell’incontro tra Conte e Maria Elena Boschi, è chiaro che c’è stata un patteggiamento che potrebbe aver coinvolto nomine in settori delicati (molto meno probabili ministri o sottosegretari) ma soprattutto questioni assai delicate che si riferiscono all’evoluzione della legislazione in materia di giustizia. Lo ha fatto addirittura intendere lo steso Renzi, nelle conclusioni del suo intervento in Senato questa mattina, quando ha esortato Bonafede ha lavorare per il suo settore superando il “giustizialismo”. E questo è il vero punto delicato della questione, ma è bene fare un passo indietro nella complessa vicenda.

E’ chiaro che forse Bonafede, che è fragile come un po’ tutti i ministri grillini, ha pasticciato riguardo alle nomine ai vertici delle carceri ed è stato preso in contropiede quando alcuni giudici – per motivi ancora da accertare – per quello che ha riguardato la concessione dei domiciliari a molti mafiosi di rilievo. Di qui lo scatenamento delle polemiche da parte del partiti del centrodestra che hanno presentato la mozione di sfiducia. Ma Renzi era in agguato. La linea politica dell’ex presidente del consiglio, sempre alla ricerca di una rivincita, giocando appunto sul numero dei suoi parlamentari usciti dalle elezioni politiche del 2018. Un numero che però, se si dovesse andare ora alle urne, potrebbe quasi scomparire. Infatti, pur cercando spazi mediatici e polemiche, i sondaggi non assegnano al leader toscano non più del 3%. In parole povere: Renzi non smuove l’opinione pubblica. Per cui, sul piano pratico, puù solo punzecchiare e tirare la corda agli alleati di governo, ma, al momento della rottura, si deve fermare per non sparire.

E cos’ è avvenuto anche per la vicenda del frastornato Bonafede che si è salvato dalla caduta ma che esce senza alcun dubbio ridimensionato politicamente. D’altro canto a nessuno dei partiti di governo convengono eventuali elezioni politiche. In primo luogo il centrosinistra negliu ultimi anni ha incassato una serie pesante di sconfitte alle elezioni regionali e amministrative. Non è quindi il momento opportuno per votare. Ma, al tempo stesso, con la drammatica questione del coronavirus si sono perdute le battaglia sulle questioni politiche e amministrative specifiche. E anche nel centrodestra – vedi Salvini nel caso specifico – ha perso colpi. Ai partiti di governo conviene approfittare della situazione, con le questioni del contagio e della ripresa economica che occupano interamente la scena, per cercare di riguadagnare spazio. Al di là della fragilità dei renziani, il Pd da solo non è in grado di rovesciare la situazione e i grillini, sempre più spaccati al loro interno, non hanno alcun interesse ad andare alle urne dove perderebbero almeno due terzi della loro rappresentanza.

Al di là dell’aggressività verbale e dei proclami, Renzi però, evitando per ora il voto, ha qualche margine di manovra che potrebbe portarlo a recuperare consenso. Nell’intervento di oggi ha puntato su due argomenti che in questo momento hanno larga popolarità. Il primo è la ripartenza economica giocando sull’Europa (i sovranisti sono in netto calo) e sui finanziamenti a fondo perduto che si possono recuperare per ridare fiato alle grandi opere pubbliche che da alcuni anni sono ferme. E’ una linea che i cittadini condividono perché sperano appunto in posti di lavoro e nella redistribuzione della ricchezza di cui si sente un forte bisogno di fronte alla crisi in atto. E’ una linea sulla quale è sostenuto dal Pd, dai sindacasti, dalle categorie economiche e che vedrebbe anche il consenso del centrodestra. Una linea che metterebbe in un angolo quella parte dei grillini ancora convinti della ”decrescita felice”. Il secondo punto-chiave, come abbiamo citato in apertura, riguarda la riforma della giustizia, ferma di fatto sin dalla formazione del primo governo Conte (con la Lega) sia dall’attuale secondo governo Conte. I grillini, infatti, erano partiti a testa bassa puntando su una riforma della prescrizione (che volevano allungare di molti anni) e su un irrigidimento di molti aspetti del processo penale (intercettazioni, ecc.). In parole povere il M5s puntava ad accentuare la linea giustizialista, aumentando di fatto i poteri della magistratura, in particolare quella inquirente. Una linea che, di fatto, aveva visto contrario Salvini e il centrodestra (in particolare Forza Italia)., ma che non gode i favori neppure del Pd, oltre che la dura opposizione dei renziani dichiaratamente garantisti.

In questa chiave va letto il ritorno alla politica vera e propria dopo i mesi di quarantena del coronavirus. Ma il “salvataggio” di Bonafede, anche se poi era scontato, porterà a riaprire molte discussioni che potrebbero vedere – sia per le grandi opere pubbliche, sia per le questioni della giustizia – i “grillini” in netta difficoltà, proprio nel momento in cui sono divisi in più gruppi al loro interno e non solo per la leadership ma anche per le prospettive future del movimento. In Liguria c’è stata una scissione di un certo rilievo mediatico. Altre uscite alla chetichella sono avvenute alla chetichella. Ma si tratterà ora di capire quale sarà il ricavo politico di Matteo Renzi.Oggi in politica si naviga a vista.