Tutti dubbi e le contraddizioni intorno alla Bolkestein

di Paolo Lingua

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Tutti dubbi e le contraddizioni intorno alla Bolkestein

La decisione recente del Consiglio di Stato che blocca lo “status quo” delle concessioni balneari sino alla fine del 2023 e che, all’indomani, riapre tutti i giochi, ha scatenato – a tutti i livelli -  un mare di polemiche. La questione ha ormai radici che affondano a molti anni fa, quando la famosa legge europea Bolkenstein   minacciò di far saltare tutte le concessioni degli stabilimenti   balneari. A voler risalire all’origine delle normativa europea, c’è da dire che la legge venne sostenuta (indirettamente) da potenti gruppi finanziari che puntavano a impadronirsi  con un sistema di concorso-appalto giocato al ribasso  d’un grosso complesso di interessi a livello europeo. E, in effetti, proprio negli Stati dove la legge europea si è più rapidamente diffusa ed è stata applicata si sono imposti, nelle gare per la concessione degli appalti, importanti  gruppi finanziari, di livello internazionale, protesi a imporre il loro monopolio sulle concessioni molte delle quali consolidate da anni e, in molti casi, da decenni. Quando la legge europea era decollata erano emerse polemiche perché si alludeva a interessi di grandi gruppi internazionali e mettere sotto controllo la gestione dei bagni in Europa e, in effetti, proprio negli stati nei quali la Bolkenstein era stata applicata rapidamente (Portogallo, Spagna, Francia) c’era stata una operazione di interessi sovranazionali a cambiare le gestioni e a controllare, a livello di quasi monopolio,  la balneazione. In Italia, dove le concessioni hanno sempre avuto una durata storica (e tutt’ora in molti casi la mantengono), c’è stata una opposizione, con richieste di rinvio, interventi dilatori e polemiche politiche. Solo per restare nei casi della Liguria, dove da decenni le concessioni sono consolidate, era insorto un muro di “no” peraltro sostenuto  dalla amministrazione regionale. La questione più delicata è legata a sostenere le concessioni storiche, con il rischio di perdita di posti di lavoro nel caso di subentro di gruppi multinazionali. In questa chiave sono comprensibili gli interventi polemici  di queste ultime ore dell’assessore regionale Marco Scajola da sempre ostile alla normativa europea e di molti parlamentari quali l’on. Cassinelli di Forza Italia, oltre che dei responsabili delle associazioni di categoria. In effetti, l’attuale stato di cose reggerà soltanto sino alla fine del 2023. Dopo, secondo la sentenza del Consiglio di Stato,   dovrebbero scattare sorta di concorsi con gioco al ribasso per buttare all’aria l’attuale stato di concessioni. A favore della sentenza del Consiglio di Stato si è schierata, come prevedibile, la Legambiente, mentre  dal punto di vista strategico un po’ tutti i partiti arricciano il naso,  sia pure con l’area di centrodestra più aggressiva e il centrosinistra più cauto. Ma è indubbio che la sentenza, per molti aspetti inattesa, rappresenta un vulnus per la maggior parte delle concessionarie balneari italiane (abbiamo parlato della Liguria, ma la situazione è ancora peggiore nel Mezzogiorno e nelle isole) che gestiscono da decenni, con personale consolidato, la gestione delle spiagge italiane. E non è detto che molte di queste strutture siano poi in grado, dopo il 2024, di riconquistare le concessioni. Il che darebbe luogo a situazioni di disagio ne di polemica in tutte le regioni. E’ indubbio che sarebbe stato meglio da parte del Governo e del parlamento di intervenire in questi anni con una normativa interpretativa  capace di mediare gli oppositi interessi. Si è preferito puntare al rinvio, senza rifletterci su , sperando di arrivare al 2033 e quindi di puntare su una modficazione della normativa europea. Vecchia soluzione all’italiana. Ma non sempre è possibile tirare a campare. Adesso occorre un intervento legislativo e d’una mediazione a livello europeo al fine di evitare una sorta di rivoluzione nel girono di un anno e mezzo.