Il sogno collettivo di voler cancellare il coronavirus

di Paolo Lingua

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Il sogno collettivo di voler cancellare il coronavirus

Sul piano umano c’è, a tutti i livelli sociali e intellettuali, il sogno di cancellare il coronavirus e di tornare alla vita di prima, con le scansioni della vita sociale, del lavoro e del tempo libero. L’infezione diffusa a livello mondiale sta cambiando, con la forza delle cose, la nostra maniera di vivere e ci costringe ad agire e a pensare come non eravamo abituati. Questa è la morale, restando in Italia, alla quale siamo costretti in questo continuo modificarsi dei provvedimenti preventivi e, anche restrittivi emessi dal governo e continuamente oggetto di tira-e-molla con i vertici delle regioni, non sempre d’accordo perché, soprattutto quelle più “turistiche”, sono tirate per la giaccia dagli operatori economici in grave crisi e da una parte di popolazione – in particolare la più giovane – ansiosa di evadere e un po’ più incosciente. In questi giorni non è difficile compiere una radiografia dei focolai di infezione reali e potenziali.

Discoteche, movide, luoghi di assembramento, spiagge e ritorni da vacanze (anche questo fenomeno lascia perplessi per la leggerezza delle scelte)  in località obiettivamente pericolose.  Quello delle scelte ondivaghe è, purtroppo, una vecchia caratteristica della nostra politica, sempre incline a inseguire il consenso, costi quello che costi. Un comportamento di vertice che è anche uno degli aspetti della fragilità delle alleanze di governo, in questi giorni affannate verso le elezioni di settembre che vedranno protagoniste sette regioni, molti comuni e, inoltre, un referendum sul taglio dei parlamenti sul quale stanno crescendo gli scontri. Sono tutti aspetti che, pur non essendo specificamente sanitari, si mescolano e confondono in scelte dove il freno e l’acceleratore sembrano un pedale unico non facilmente gestibile. La politica, inutile nasconderlo, ha il fiato grosso. Ma, al limite, abbiamo visto atteggiamenti più scomposti in Paesi che pure sono considerati super-efficienti come la Francia, la Germania e l’Inghilterra. Per non parlare degli Stati Uniti, anche in questo caso in stato confusionale pre-elettorale, dove il senso della libertà ha un Dna che sfiora l’anarchia. Con i drammatici risultati che si possono constare ogni giorno. In realtà, tornando all’Italia ma con un ragionamento che potrebbe valere per tutto il mondo soprattutto gli stati più ricchi e industrializzati, accanto al dilagare dell’infezione incombe su tutto il paese l’incubo della crisi economica. Una problematica che ha differenti nature e diversi sviluppi.

E’ molto pesante, assai più grave di quanto forse non ancora appaia, la crisi del mondo del turismo che ha aspetti macroscopici (alberghi chiusi, scomparso il flusso turistico straniero, ristoranti di lusso semideserti) e tanti piccoli aspetti anche più gravi, con rischi di chiusura, disoccupazione, scomparsa della liquidità corrente. E questa realtà contingente preme sui politici locali sempre più affannati e alla ricerca di provvedimenti che facciano tutti contenti. Ma poi, assai più inquietante, la crisi industriale, finanziaria e del commercio di lusso, con ripercussioni imprevedibili sull’import-export. A questo proposito si è in attesa di come saranno effettuate le scelte di strategia nazionale quando sarà possibile disporre dei fondi europei con i sospirati 209 miliardi, mentre si continua a tergiversare sulla possibilità di acquisire gli oltre trenta miliardi che potrebbero essere fondamentali per ristrutturare la sanità che appare in sofferenza. Il governo non si vuole pronunciare – sempre per paura di creare scontenti e perché al suo interno le strategie sono assai contrastanti – su una serie di grandi opere da sbloccare (quelle già programmate, già finanziabili) che potrebbero rimettere in moto la macchina. E così si procede a zig zag a tutti i livelli, nella speranza dell’arrivo del vacchino che , come una bacchetta magica, faccia scomparire di colpo tutto il male. E’ sempre la speranza del miracolo, dell’ottimismo a buon peso, che ci domina.   Ma poi occorre fare i conti con la realtà.