Il Quirinale non è una partita a tombola

di Paolo Lingua

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Il Quirinale non è una partita a tombola

E’ vero che, almeno nelle vecchie tradizioni familiari. Le festività di Natale  e di Capodanno erano segnate da interminabili partite a tombola, con ni numeri collegati a ipotesi fortunate e comunque a soprannomi di fantasia, ma sino a oggi, da parte dei partiti, la corsa per il Quirinale sembra caratterizzata da molti aspetti d’un confusa partita a tombola. Nei giorni scorsi è emerso dal silenzio il fondatore della Lega, Bossi per  affermare che il candidato potenziale che ha più chances  è Casini, perché Draghi e Berlusconi avrebbero troppi elementi contro.

Casini è un candidato dalla storia moderata (sul piano ideologico) che potrebbe andar bene sia alla destra sia alla sinistra.. Ma, mentre il cronometro continua a far scattare il conto alla rovescia, restato, al di là della sortita di Bossi, tutti gli interrogativi che si accumulano appunto su Draghi e su Berlusconi. Il presidente del Consiglio avrebbe certamente le maggiori possibilità, perché, senza grosse risse, potrebbe essere votato da tutti partiti che sostengono il suo governo. Resterebbe fuori solo Fratelli d’Italia. Sarebbe una strada facile, sulla carta: ma nascerebbe subito una nuova problematica. Chi andrebbe a Palazzo Chigi? Un possibile presidente destinato a portare avanti l’attuale programma di governo sino alla scadenza del mandato nel 2023? Oppure una sorta di notaio che servirebbe a gestire le elezioni politiche anticipate nella prossima primavera?  

Occorre tenere presente che, forse con la sola eccezione del partito della Meloni, nessuno avrebbe interesse al voto perché si rischierebbe di dar vita a una assemblea con due Camere ingovernabili.  Infatti avremo, per legge, un Parlamento fortemente tagliato nei numeri, ma ci sarebbero movimenti come Italia Viva, il M5s, l’estrema sinistra, i partitini del centro e Forza Italia che subirebbero pesantissimi tagli. Anche la Lega  rischia fortemente di perdere la leadership dei partiti del centrodestra. E Salvini ha già dimostrato non poche preoccupazioni in proposito. Tutto sommato preferirebbe andare al voto  alla scadenza ufficiale. E’ una posizione, che in un contesto differente, coinvolge anche il Pd di Letta che i sondaggi da tempo indicano come il primo partito italiano.  Ma la crescita del Pd   coinciderebbe con un calo netto e quasi certo dei potenziali alleati d’una coalizione di centrosinistra. A tutti, insomma, con la sola eccezione del movimento della Meloni, conviene guadagnare tempo.

Ma la questione che sembra accendere tutte le curiosità e i gossip e la presunta candidatura di Silvio Berlusconi. L’ex Cavaliere , sia pure con un pizzico di cautela, si è sempre mosso nella direzione di puntare al Quirinale. E’ stato, com’era ovvio, sostenuto dal suo partito Forza Italia. Il centrodestra nel suo insieme non gli ha sbarrato la strada, ma ancora oggi, sia Meloni, sia Salvini non si sono dichiarati contrari, sia pure senza correre a testa bassa. La sensazione è che il centrodestra lasci la lampada accesa su Berlusconi, ma sia al tempo stesso pronto per eventuali alternative.

In effetti Berlusconi ha un curriculum personale che , per molti aspetti, non coincide con l’ideale d’un possibile Capo dello Stato. E’ stato  al centro di scandali, di condanne passate in giudicato, di amicizie discutibili e, infine, ha ancora in corso il processo “Ruby ter”, vicende giudiziarie che, al di à di potenziali e anche dubbie responsabilità penali, presentano aspetti sul filo del grottesco. Su Berlusconi poi gioca la condizione di salute fragile e la questione, non trascurabile, dell’età. Ha infatti cinque anni in più di Mattarella. Teoricamente, se eletto, chiuderebbe il suo mandato a 92 anni. E  anche questo  è un fattore non trascurabile.

A poche settimane dalla convocazione del Parlamento a camere Unità per aprire il discorso e la procedure sull’elezione del Presidente della Repubblica i dubbi prevalgono sulle certezze. E’ l’aspetto più complesso è la figura di Draghi. L’attuale Presidente del Consiglio vuole andare al Colle per concludere il suo impeccabile “cursus honorum”, ritenendo di aver esaurito l’azione del governo? Oppure punta a restare a Palazzo Chigi, magari anche dopo il 2023 nel ruolo strategico di “salvatore della Patria”?

Sinora, al di là di espressioni generiche, Draghi non ha fatto trasparire il suo pensiero. Il che rende difficile ogni previsione. Ovviamente ogni momento emergono altre candidatura, tecniche e politiche, nelle quali emergono sia uomini sia donne. Infine, non va dimenticato che l’attuale Parlamento non è da inserire in comportamenti individuali prevedibili. Fuoriusciti, gruppuscoli, spaccature non danno un’immagine di disciplina e di comportamenti prevedibili. Un elemento in più per ignorare in assoluto che cosa sarà nascosto nella calza della Befana.