Dopo il decollo (formale) del governo dovunque regna il caos

di Pietro Roth

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Il punto di Paolo Lingua

Dopo il decollo (formale) del governo dovunque regna il caos

Il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti ha confermato che lunedì sarà in piazza a Roma, al margine dell’iniziativa di Fratelli d’Italia,  per contestare il nuovo governo cosiddetto Conte bis sostenuto da Pd e M5s. Toti, che è anche, per conto del governo (precedente) commissario alla ricostruzione a Genova, al margine della tragica vicenda del Ponte Morandi, ha deciso di scendere a battaglia. E’ una mossa collegata al suo “dream” di dar vita a un movimento secessionista da Forza Italia (Cambiamo!) con prospettiva strategiche nazionali oppure Toti punta a raccogliere attorno a sé alleanze in  Liguria nella prospettiva delle elezioni regionali della prossima primavera? IL presidente della Liguria ha raccolto ieri , in casa, una nuova adesione, quella di Lilli Lauro, supervotata consigliera regionale e comunale, da sempre collegata all’area di Sandro Biasotti deputato e vicino a Silvio Berlusconi ma amico di Toti. La Lauro punta a un assessorato regionale, come si è capito. Ma il problema è più complesso: Toti di chi sarà candidato, oltre al suo nuov9o raggruppamento? Fratelli d’Italia dopo la scissione sarà d’accordo, anche se, a quel che sembra sarebbero intenzionali alla sua riconferma sia Salvini sia la Meloni? Occorre essere pratici a questo punto, sulla logica della Prima Repubblica, piaccia o non piaccia.

Il sistema elettorale regionale è maggioritario e senza ballottaggio. Per cui la coalizione deve essere ufficiale già prima del voto con un candidato unitario alla presidenza. Occorre quindi un accordo politico prima del voto. E, in un caso come la Liguria (ma il discorso vale per il resto dell’Italia), il centrodestra per essere sicuro di vincere deve mettere insieme tutte le forze disponibili e trovare l’accordo sul candidato alla presidenza. Ci sono pochi spazi per i giochetti. E, vista la situazione attuale, Toti deve accordarsi con tutti e i partiti si devono accordare con lui, se, come pare, intendono confermarlo.  Ovviamente, dato che a ottobre si voterà già in alcune regioni-chiave come l’Emilia Romagna e l’Umbria, assisteremo a una sorta di prova generale. Ma il discorso che implicherà dover digerire, un po’ tutti,  bocconi non sempre piacevoli, come vale per il centrodestra, presenta le medesime istanze anche in casa del centrosinistra, dove, soprattutto la base del Pd e i suoi quadri intermedi, non sono entusiasti  di un accordo di schieramento con il M5s, con il quale i contrasti sono profondi e remoti e sono emersi ancora ieri in consiglio comunale a Genova sull’eterno contrasto sulla Gronda autostradale. Ma la legge che appunto impone un accordi pre-elettorale di coalizione con candidato unico, salvo rovesciamenti di fronte da qui alla prossima primavera, obbligherà Pd e M5s a fare un accordo blindato e a scegliere un candidato unico, sempre che vogliano correre da alleati, fatto che comunque resta la loro unica chances di vittoria, perché se correranno divisi il successo del centrodestra è già scontato.

Non sarà facile imporre ai grillini, che so?, la candidatura a presidente di Pippo Rossetti e ancora meno convincere base e quadri del Pd a sostenere Alice Salvatore. Gli esempi sono casuali ma con un certo margine di concretezza. Detta così l’alleanza ha pochissime chances di stare in piedi, per non parlare dei contenuti concreti di programma sui quali sino a ieri  le posizioni non solo sono state differenti ma addirittura opposte. E forse nel ragionamento non vale neppure lo spostamento, anche nazionale, su una linea vicina a una sinistra estrema visto l’ingrosso nell’esecutivo anche dei Leu con Speranza ministro della Sanità. La situazione nazionale quindi e quelle locali sono appese a fili molto esili, da tutte e due le parti degli schieramenti. La sensazione diffusa è quella d’un declino del livello del ceto politico in tutti i campi.