Bucci e "La Genovese": la storia senza pace del nostro inno nazionale, "fuorilegge" fino a sei anni fa

di Stefano Rissetto

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Il sindaco di Genova vuole cambiare nome al canto composto da Goffredo Mameli e Michele Novaro

Bucci e "La Genovese": la storia senza pace del nostro inno nazionale, "fuorilegge" fino a sei anni fa

Quando Prince, che era stato Roger Nelson, volle diventare TAFKAP, i seguaci ne avrebbero ignorato la svolta ad acrostico continuando a chiamarlo come prima. Idem per Terence Trent d’Arby, quando aveva deciso di rinominarsi Sananda Francesco Maitreya; se pensi a “Sign your name” ti viene in mente il primo e non il secondo. Questo per dire che non sarebbe comunque semplice né scontato, 176 anni dopo, rietichettare il nostro inno nazionale, come chiede adesso il sindaco di Genova Marco Bucci. Ché poi tra l’altro “Fratelli d’Italia” non era nato così, l’edizione originale a firma del poeta Goffredo Mameli e del compositore Michele Novaro lo qualificava infatti come “Il Canto degli Italiani”. In alternativa, “Inno d’Italia” o “Canto Nazionale”. Il fatto è che certe operazioni o sono spontanee o non sono.

Non è la prima volta che Bucci - innamorato della sua Genova come forse può esserlo soltanto chi ne sia vissuto lontano per gran parte dell’esistenza, idealizzandone la nostalgia al modo del vecchio di “Ma se ghe penso” - ripropone l’idea di chiamare “La Genovese” il Mameli-Novaro. È una suggestione, solennemente rilanciata dal palco del congresso ANCI, che il sindaco spiega nel raffronto col canto nazionale francese, “La Marsigliese”. Gli inni nazionali diventano popolari generalmente secondo le prime parole, come accaduto al nostro che per quasi tutti è “Fratelli d’Italia”. Anche perché sono le prime tre delle massimo quaranta parole che un cittadino medio conosca. Quando l’allora poco accreditata Giorgia Meloni aveva scelto di chiamare così il suo nuovo partito, undici anni fa appena, nessuno tra gli avversari se l’era presa troppo, come era successo quando Berlusconi aveva requisito uno slogan calcistico per il suo “Forza Italia”, nemmeno dalla cerchia di Ciampi che aveva rilanciato la sacertà dell’inno. Ora “Fratelli d’Italia” non evoca più Mameli-Novaro ma un partito: la forza normativa dei fatti, come diceva un grande giurista del Novecento.

Bucci entra, o meglio rientra, in un terreno accidentato. Intanto perché fin da ieri sulla rete sono circolate pignole puntualizzazioni: se il Mameli-Novaro ebbe in effetti prima esecuzione pubblica a Genova, il 10 dicembre 1847 a Oregina per gli ottoni della Filarmonica Sestrese, la “Marsigliese” non fu eseguita per la prima volta a Marsiglia, ma a Strasburgo nel 1792, col titolo “Canto di guerra per l’Armata del Reno”. Il giovane capitano Rouget de Lisle, vita grama tra l’altro malgrado l’invenzione, l’aveva scritta come canzone marziale; non immaginava che ci sarebbe voluto ancora un anno e la possanza di baldanzosi volontari - appunto - marsigliesi in marcia su Parigi per avviarla al destino e alla storia. Già, la storia: la sera del 9 luglio 2006 si era in redazione, davanti alla tv sintonizzata su Berlino, finale dei Mondiali di calcio, il sorteggio aveva dato la precedenza all’inno italiano, quando fu la volta della “Marsigliese” ci si disse: “Vabbe’, il prepartita l’abbiamo perso, ora vediamo la partita”.

L’inno di Mameli, oltretutto, era stato al centro di molti tentativi di pensionamento integrale, mai soltanto nel nome. Qualcuno aveva proposto il “Va’ pensiero”, non pensando che era un canto di schiavi, o “Nel blu dipinto di blu”; altri avevano tentato la via obliqua, come Rino Gaetano con “Aida”, De Gregori con “Viva l’Italia”, Carboni con “Inno nazionale”, Toto Cutugno con “L’Italiano”. Ma poi, alla fine, all’Olympiastadion dopo il rigore di Grosso, gli altoparlanti avrebbero diffuso “Azzurro”, musica e parole di Conte-Pallavicini, voce di Celentano.

Certo, la proposta di Bucci non è stata la sola sortita musicale del congresso ANCI. Il presidente uscente Antonio Decaro, infatti, nel discorso di congedo è partito da Guccini per arrivare a Tenco. Ma il “Ciao amore ciao” in chiusura di intervento, per la storia dolentissima e funesta di quel brano, non è parsa la scelta più felice. Oltre ci sarebbe stato solo Battiato, con la sua “Povera patria”. Oppure, in chiave universalistica, i Monty Python e la “Canzone della galassia”.

Bucci, certo, quando si mette in testa una cosa la porta a casa. Vediamo adesso come gli andrà con “La Genovese”, formula che sembra evocare più che altro una ditta commerciale all’insegna di oculatezza e risparmio. Però tutto sommato il Mameli-Novaro è a tutti gli effetti inno nazionale soltanto dal 30 dicembre 2017, prima era provvisorio. Ancora per qualche tempo meriterebbe di restare quel che era secondo gli autori. Oppure, come tutto quel che in Italia è temporaneo, per sempre.