Alti e bassi del G20 (e conseguenze)

di Paolo Lingua

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Alti e bassi del G20 (e conseguenze)

Il dato concreto più importante del G20 di Roma è certamente il recupero dei rapporti economici tra l’Europa e gli Usa, dopo gli eccessi di nazionalismo di Trump. Aver levato le tasse sui mercato dell’acciaio e dell’alluminio e, di conseguenza, il taglio da parte della Ue delle imposizioni si molti generi minori, riparte un mercanto importante e, nel passato, fiorente. Ma è , psicologicamente, un elemento positivo la riapertura di un dialogo tra le due maggiori realtà istituzionali e politiche dell’Occidente. Vedremo cosa si potrà fare sul piano della difesa  del clima : sono prevalsi i criteri generali ma non punti fermi da rispettare. Un altro aspetto concreto è venuto dalla decisione di tassare, per ogni Paese operativo, le iniziative imprenditoriali che si collocano negli Paesi dove esiste una evasione fiscale di fatto. Si pagheranno le tasse dove ci sarà mercato a partire dal 2023 , quando ogni Stato avrà legiferato in proposito.

La lotta all’inquinamento e alle Variazioni climatiche è rimasta un impegno formale perchè Russia e Cina hanno una produzione industriale assai diversa dai Paesi più evoluti dell’Occidente e il blocco dell’uso del carbone e del petrolio sarebbe di fatto un freno alle loro economie in espansione. E’ una questione che accomuna anche l’India. Il discorso quindi appare ancor assai complesso anche se sono stati compiuti importanti passi avanti.  Certamente restano in piedi complesse problematiche (basterebbe pensare alla questione della pesca nella Manica che vede in contrasto Francia e Inghilterra) più o meno centrali. Sul piano politico personale resta indubbio il successo sul piano del prestigio e della competenza a livello mondiale del premier Mario Draghi. Mai, a livello mondiale, l’Italia ha toccato punte di prestigio tanto alte, con riconoscimenti che sono giunti da tutti gli Stati che hanno partecipato al G20 romano. Draghi quindi esce dall’evento notevolmente accresciuto nel prestigio e nella stima dei grandi leader dell’Occidente, non solo europeo.

Questa condizione però –  una domanda alla quale non è facile dare risposta – come influirà sul suo destino immediato? Al di là dei piccoli giochi, in parte politici e in parte mediatici, che ogni giorno emergono sul piano del dibattito partitico, Draghi resterà a Palazzo Chigi ancora per qualche anno oppure sarà eletto (in questo caso all’unanimità o quasi) al Quirinale? La questione è molto complessa. Sul piano pratico l’Italia, in questo particolare momento, avrebbe bisogno che Draghi, con pieni poteri, rimanesse a Palazzo Chigi, senza andare ad elezioni politiche anticipate. Forse dovrebbe restare alla presidenza del Consiglio anche dopo il 20232 quando, bene o male,  si dovrà per forza votare. E’ certo che nel 2023, anche con il taglio dei parlamentari, cambierà profondamente la fisionomia e l’equilibrio dei partiti, nessuno dei quali però – anche presi come coalizioni – dispone di leader adeguati a una reale leadership.

Allora per Draghi sarebbe meglio, alla fin dei conti, andare al Quirinale dove potrebbe operare come una sorta di potere “super partes”?  Il Pd di Letta vorrebbe guadagnare tempo per crescere sul piano dei voti. Il centrodestra, sia pure squassato e meno omogeneo di quel che sembra, sogna la vittoria, a  sua volta non dispone d’un leader di prestigio. Ci sono poi partiti come Italia Viva e il M5s che, al voto, rischierebbero un crollo vicino alla sparizione, mentre ancor hanno spazio e potere nell’attuale parlamento. La situazione generale appare sempre più confusa e traballante, perché non ci sono collegamento coordinati tra la società e l’assetto partitico. Ecco perché il respiro è affannoso e si annaspa, anche se gli appuntamenti istituzionali non possono essere rimandati e incombono.