Un singolare affresco della memoria: piazza Alimonda anni Trenta e Quaranta

di Paolo Lingua

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Uno spaccato di Genova nel librino “Genova 1936” di Guido Arato, giornalista di terza pagina scomparso lo scorso anno

Un singolare affresco della memoria: piazza Alimonda anni Trenta e Quaranta

Guido Arato (1927 – 2019) è stato un giornalista assai colto (era un raffinato grecista e latinista) che ha diretto per quasi 40 anni le pagine culturali del Secolo XIX e ha collaborato ancora per anni all’edizione di Genova de “La Repubblica”.  Cattolico severo ma di idee progressiste, rigoroso nel suo mestiere, ma anche buon sportivo, data la sua taglia atletica, scrisse nel 2003 in una antologia dedicata a Genova uno spaccato del suo quartiere di nascita e di vita, la zona di piazza Alimonda, con al centro la chiesa del Rimedio, divenuta parrocchia nel 1936.

Arato compie una ricostruzione urbanistica, frutto della realizzazione tardo ottocentesca di via XX Settembre e poi della ristrutturazione dell’area che va da corso Buenos Aires alle vie d’intorno (Teodosia, Caffa, ecc.) dai nomi geografici che ricordavano le colone genovesi del Mar Nero del Basso Medio Evo. Ma Arato, dopo le divagazioni urbanistiche e sociologiche sul tipo di società che era venuta ad abitare nella zona, punta i suoi ricordi sulla chiesa del Rimedio, attiva con circoli giovanili e centri di recitazione e di tante attività, dove si formavano anche inconsciamente generazioni “afasciste” un po’ nel clima freddo verso il regime, tipico di Genova. Vivissimo è il ricordo di don Luigi Parodi, un sacerdote (solo) apparentemente anonimo, ma colto, moderno e attivo, un autentico formatore, non soltanto in chiave religiosa, quanto piuttosto in chiame umana. Accanto a lui i canonici Cambiaso e Schiaffino. E poi gli anni drammatici dalla svolta razzista del regime del 1938, poi la dichiarazione di guerra del 1940 e infine l’8 settembre 1943 sino al 25 aprile 1945. Arato, distaccato e rigoroso, ha un attimo di nostalgia adolescenziale sullo “spirito alimondino” formatosi nel quartiere soprattutto tra i ragazzi che frequentavano la chiesa. E poi gli inseganti di allora del liceo Doria: la “terribile” Caterina Marcenaro, futura direttrice dei musei genovesi e l’insegnante di religione don Giuseppe Siri che, già vescovo ausiliare, voltava l’anello quando faceva lezione.

Uno spaccato di Genova, il librino “Genova 1936” (edito da Città del Silenzio), nel quale Guido Arato immette tutta la sua severità e tutto il suo autocontrollo, terrorizzato dal rischio della retorica, ma dove si trova, pietra su pietra un quartiere singolare, frutto d’una serie di rivolgimenti urbanistici, ma che era caratterizzato da uno spirito profondo di identificazione, espressione d’una piccola-media borghesia che cresceva, soffriva e in gran parte si era realizzata nel dopoguerra. Arato scavalca se stesso, ma ricorso nell’ultima pagina i suoi coetanei a mici del quartiere: il magistrato Guido Zavanone, l’ex assessore Pietro Campodonico (autore dell’inno al Genoa), il professore Luigi Garbato, il sovrintendente ai beni di Stato, Mario Semino. Chiude Arato: ”A piazza Alimonda facciamo dunque un saluto alla voce”.