Malati abbandonati nei corridoi, così a San Martino muore la speranza

di Michele Varì

Viaggio nel naufragio del ps fra rabbia e rassegnazione

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Barelle lungo i corridoi, malati abbandonati e in attesa per ore e ore, nessuna distinzione fra uomini e donne, anziani gravi che respirano con l'ossigeno al fianco di giovani con una contusione al piede. Corpi seminudi esposti sulle lettighe, più che persone, carne, la privacy è a zero, come la dignità di chi finisce in questi sanatori 2.0. 
È stata ancora una giornata d'inferno al pronto soccorso dell'ospedale San Martino. Altro che piano straordinario per le feste, altro che ambulatori per i codici bianchi. Ma la giornata peggiore è stata ieri, sabato 4 gennaio, "un inferno" a detta di tutti, che quando vedono il cronista quasi ci si aggrappano, "questo è niente, questo è niente, ieri è stato un incubo, roba da terzo mondo". Una frase che ci si sente vomitare addosso ad ogni passo con una tristezza e rassegnazione da persone che nella sciagurata esperienza vissuta fianco al fianco, in camerate o corridoi, hanno trovato un'istintiva complicità, neanche fossero reduci del Vietnam. 
E dietro le paratie, dietro il correre sfrenato dei pochi infermiere ed ausiliari, unici incolpevoli, la speranza al ps del San Martino sembra svanire.
Sul viso di tanti, di chi ha forza o anche la fortuna di avere un familiare, c'è rabbia.
Danilo ha l'anziano papà ricoverato su una barella. "Una vergogna, scrivetelo che è una vergogna!" urla. 
Una donna rincara. "Gli infermieri si fanno in quattro, ma sono pochi, e i medici non si vedono. Dove sono o medici?" grida Francesca Repetto, cinquantenne arrivata dalla Valpolcevera per assistere l'anziana madre, che spunta da sotto un lenzuolo con gli occhi scavati dalla malattia con la flebo al braccio esile.
Un'altra donna si affanna a sfilare il pappagallo dal sotto le lenzuola al padre e poi sparisce nel gabinetto. Qualcuno fotografa, o riprende con il celluare. Nessuno osa protestare, "chissenefrega della privacy, tutti devono sapere".