Leggi elettorali: il caos assoluto (e l'interesse sotterraneo)

di Paolo Lingua

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Leggi elettorali: il caos assoluto (e l'interesse sotterraneo)

Come peraltro, non molto tempo fa, avevamo profetizzato, arrivati a questo punto saltano tutte le riforme elettorali per la regione Liguria (alla fine del mese non sarà più possibile legiferare materialmente), con progetti travolti dalla confusione (mescolata alla malafede) dei partiti, perché ogni schieramento, ma all’interno delle alleanze con istanze differenti, vorrebbe una legge fatta a proprio uso e consumo. C’è chi pensa di avere un’alleanza (come il M5s) nella sinistra, ma non del tutto sicura, per  cui vuole mantenere i margini di salvezza e tenersi con qualche modifica il cosiddetto “listino”. Il Pd puntava alla riforma perché chi vince può contare sia su un “listino”  sia su un eventuale “premio” in seggi. Il centrodestra – con istanze differenti da partito a partito della coalizione – ha in sé la complessa problematica dei canditati di Forza Italia e di “Cambiamo!” il movimento totiano. E qui il “listino” apparirebbe utile per i più deboli, piuttosto che per la Lega o per Fratelli ‘Italia che è in crescendo. Il risultato è che per il momento è saltato tutto nel corso delle confuse riunioni di commissione e che c’è un caso su mille per arrivare a una modifica legislativa in extremis. D’altro canto, occorre sottolinearlo perché la storia è così da sempre. In regione dal 1970 a oggi per mezzo secolo tutti i partiti, con tono saccente e moralistico, hanno proclamato l’abolizione dei candidati che non vengono votati ma che diventano poi una dote del vincitore. All’origine, va ricordato, il “listino” era nato, a parole, per candidare personalità di prestigio della società civile ma non organizzati per essere votati dagli elettori. In realtà questo “nobile” obiettivo non si è mai realizzato e sono stati sempre inseriti politici elettoralmente fragili ma fedelissimi a chi conta di vincere e di governare. D’altro canto le riforme elettorali, riuscite o fallite, nella storia italiana non sono mai nate con l’obiettivo di dar vita a una sistema che rispecchi in termini democratici reali la volontà popolare, ma soprattutto che è al potere in un certo momento punta ad adattare il sistema di voto alle esigenze del suo schieramento. Eppure i modelli efficaci esistono: basterebbe pensare, in Europa, o al maggioritario alla francese o al proporzionale con sbarramento del 5% in Germania. A questo proposito vale la pena di pensare che il caos regionale della Liguria riflette le confusioni e le contraddizioni della riforma nazionale sempre più caotica con i partiti e i loro leaders che ogni giorno cambiano idea confondendo sempre di più i cittadini che non afferrano bene le sottigliezze delle percentuali di sbarramento oppure del recupero dei resti o dei seggi premio al vincitore. Ma, tornando alla Liguria, appare evidente la preoccupazione del presidente Giovanni Toti che non ha “sfondato” a livello nazionale con il suo movimento frutto d’un dissenso un po’ pasticciato (ora con tentativi di recupero) nei confronti della leadership di Silvio Berlusconi. Toti deve cercare di 4recuperare i suoi fedelissimi in giunta e in consiglio (Giampedrone, Scajola, Ilaria Cavo, Vaccarezza, ecc.) non tutti certi di uscire considerato che in molti dei quattro collegi liguri ci saranno candidati tradizionali di Forza Italia. Al di là di chi andrà meglio o peggio nei singoli partiti, ci sono, come sempre del resto, delle situazioni personali da proteggere e da tutelare per motivi di fedeltà politica “sicura”. Ecco perché, come sempre in passato, il “listino” tanto vituperato a parole, viene bene al momento pratico. Questo spiega una riforma sinora impossibile. Per non parlare d’una riforma annunciata ma attuabile solo per le elezioni del 2025. Un obiettivo che farebbe ridere se non facesse piangere.