Le contraddizioni (troppe) nelle scelte del governo in attesa d’un compromesso

di Paolo Lingua

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Le contraddizioni (troppe) nelle scelte del governo in attesa d’un compromesso

Vale la pena di apprezzare il premier inglese Boris Johnson che, con forte determinazione, ha deciso di tenere l’Inghilterra in assoluta chiusura sino a metà febbraio, dopo l’incremento preoccupante dei contagi, dei ricoveri e dei decessi. E’ certamente una scelta impopolare in un Paese dove è forte e diffusa la mentalità del cittadino che crede nella libertà individuale. Ma, di fronte a una situazione drammatica e, per il momento, incontenibile, il governo del Regno Unito ha deciso di agire con la massima determinazione, anche affrontando l’impopolarità, nella speranza che la pratica dei vaccini al giro di boa di febbraio abbia già dato qualche esito positivo. Lo stesso non può dirsi del governo italiano che decide di giorno in giorno, chiude, apre, riapre, blocca, mentre la distribuzione e l’applicazione dei vaccini non procede così spedita come si sperava.

E’ indubbio che per quel che riguarda la politica della divisione dell’Italia in zone (rossa, arancione e gialla) a seconda dell’incidenza del coronavirus in tutti i suoi aspetti, per quanto concerne l’apertura delle scuole con diversi orari (ma ci sono molte regioni che hanno già annunciato che faranno comunque di testa loro) per non riflettere su chiusura apertura di negozi, servizi, bar e ristoranti teatri e cinema, la confusione è somma e le differenze vengono annunciate con procedure a zig zag con salti e interruzioni. Non è detto che ci sostiene le riaperture a tutti i costi abbia ragione, ma è anche giusto rispettare il lavoro di tutti in una condizione generale nella quale si allarga la crisi economica. Un ristorante, un bar, un esercizio commerciale, sulla base della sua attività, deve prenotare e acquistare la sua merce per tempo e sapere quando potrà operare nella massima libertà, oppure deve sapere con anticipo per quanto tempo dovrà restare chiuso.

La sensazione che si sta diffondendo è che la crisi economica rischia di farsi davvero drammatica, soprattutto nel piccolo artigianato e nel commercio al minuto : ci sono attività che sono sull’orlo del fallimento o comunque d’un pesante ridimensionamento con licenziamenti e cassa integrazione. Le incertezze e le contraddizione del governo si intrecciano, come già si è accennato, con comportamenti diversificati anche nei confronti delle regioni che adotteranno per scuola, servizi e commercio scelte diversificate. Anche in questo l’Italia è sempre di più una sorta di casacca di Arlecchino. Non c’è ordine e non c’è criterio. Ognuno sembra andare per conto suo. Gli effetti di questa difficoltà a mettere in ordine la gestione dell’Italia quando ancora la pandemia è forte e in crescita è  indubbiamente una conseguenza della attuale fragilità politica che si evidenzia in questi giorni (ma con effetti che hanno origine da molti mesi) con le contraddizioni all’interno dell’alleanza di governo. I quattro partiti che sorreggono Conte in sostanza – ma da sempre – hanno una visione diversa della strategia politica. A volte opposta.

La chiave di volta della situazione è il contrasto di fondo che c’è (c’è sempre stato) tra il M5s e il Pd. I due partiti che si sono sempre mossi guerra e hanno avuto durissimi  scontri polemici sono una sorta di “matrimonio coatto”. Sono costretti a essere alleati per non sparire fortemente ridimensionati (i grillini) o per andare all’opposizione (il Pd). Poi ci sono quelli del Leu che oscillano tra Pd e M5s, mentre Italia Viva, assai bassa nei sondaggi, tira la corda su certi contenuti che il governo non vuol mettere in campo, giocando appunto sul timore di dover andare alle urne nel momento più tragico che si potrebbe mai immaginare. Questo spiega le contraddizioni sulle decisioni nel campo del coronavirus ma, ancor di più, per quel che riguarda i contenuti del Recovery Fund. E qui pare assurdo che non si vogliano prendere decisioni strategiche per la ripresa dell’economia quando, si spera, finirà la pandemia. Per non parlare dell’assurdo “no” ai 37 miliardi del Mes per la ristrutturazione della sanità messa già a dura prova dal virus. Su certi punti operativi Renzi non ha torto rispetto alla visione rinunciataria e indecisa su tutto del M5s, ma, al tempo sesso, la sua è una posizione strumentale che punta sul margine di rischio di interlocutori che temono il ritorno alle urne. Ci sarà una grande crisi politica? Tutto è possibile, ma la previsione, dettata dal cinismo della concretezza, ci porterà a piccoli aggiustamenti e compromessi. Si rischia, alla fin dei conti, di essere in ritardo su tutto.