La geografia politica al tempo di Draghi

di Paolo Lingua

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La geografia politica al tempo di Draghi

È probabile - ma come sempre è tutto da verificare giorno per giorno -  che il governo Draghi, nel volgere dei prossimi mesi e soprattutto se andremo al voto in tempi ordinari (ovvero nel 2023) finisce per modificare l’attuale assetto politico sia nell’area del centrodestra, sia del centrosinistra. Nella complessa area del centrodestra, Forza Italia e dei piccoli partiti di centro sembrano i più identificati con la l9ina, i contenuto e le scelte del presidente – manager. La Lega ha deciso di partecipare anche per recuperare spazi e consensi nell’area del centro, superando una parte del sovranismo e dell’antieuropeismo, facendo emergere la figura di Giorgetti neo ministro assai gradit9o da Draghi. All’opposizione, nel sistema del gioco delle parti, resta Giorgia Meloni che è arroccata all’opposizione. Al di là delle attuali divisi9oni che sono più tattiche che strategiche, il centrodestra si presenterà, sia alle elezioni amministrative (in primavera o rinviate all’autunno per via della pandemia?) sia a quelle politiche. IL blocco elettorale è la garanzia maggiore d’una possibile vittoria, al di là delle differenze. Una scelta pragmatica che sinora ha dato obiettivamente i suoi frutti. Ma non sono chiare le evoluzioni in corso. Una prospettiva, infatti, di Matteo Renzi è quella di far crescere l’area del centro, facendo leva sui piccoli movimenti, su Berlusconi e su Calenda, oltre che sulla Bonino, per dare vita a uno schieramento “moderato” .

E’ una costruzione complessa che non è riuscita neppure al tempo del governo Monti per via del frazionismo e delle ambizioni di tutti i piccoli e grandi leader. Più complessa, se non addirittura confusa, appare oggi l’area della sinistra. La situazione di difficile interpretazione e lettura è quella che riguarda il M5s che potrebbe addirittura cambiare denominazione. Oscillante e incerta appare la posizione e il ruolo specifico che potrà assumere l’ex premier Giuseppe Conte cooptato a una posizione di vertice ma non chiaramente indicata dallo stesso Beppe Grillo, di cui non sono ancora chiariti i rapporti con l’altro co-fondatore Casaleggio. C’è una nuova natura “moderata e governativa” all’interno del movimento (sostenuta anche da Luigi Di Maio) mentre vanno in direzione autonoma gli oppositori dell’attuale governo che sono divisi ulter9iormente tra chi vorrebbe rientrare nel movimento e chi invece punta a dar vita a un partito nuovo e autonomo. Ancora misteriosa la posizione di Di Battista. In difficoltà il reggente Crimi , mentre non si comprende se resterà – senza mai essere entrato in funzione operativa – in carica il vertice a c9inque che era stato in un primo momento indicato. E quale sarà il ruolo della “piattaforma Rousseau”? Ecco un’altra incognita. La situazione caotica dei “grillini” ha condizionato, sia pure con modalità differenti, il Pd che a tutt’oggi oscilla tra la linea di Zingaretti che sostiene il governo Draghi e vuole andare avanti così senza fare congressi sino alla vigilia delle elezioni del 2023 , e le posizioni delle diverse fazioni interne che puntano a una ribaltamento ma di cui non si comprendono i contenuti, mentre implode la questione della presenza “di genere” ai vertici dietro l’impulso della quota femminile del partito. Un problema concreto emerge: come si muoveranno le alleanze quantomeno per le prossime elezioni amministrative che però vedono in campo le grandi città, come Roma, Milano e Torino.  

Un asse tra Pd e M5s e l’estrema sinistra, annunciato sulla carta, non sembra però così saldo, anche perché a Roma, tanto per fare un esempio vistoso, le posizioni sono da tempo distanti perché il Pd aveva subito l’elezione della sindaca Raggi in aperta polemica contro le gestioni di sinistra del passato. Una situazione meno cruenta ma abbastanza simile a quella di Torino. Per restare in Liguria si stanno muovendo i partiti su posizioni molto distanti anche a Savona, dove però non mancano dissapori anche nel centrodestra, perché la sindaca uscente Caprioglio non è in feeling con le posizioni di Giovanni Toti. Un po’ da tutte le parti si rischia di andare con tre o quattro candidati sindaci con gli schieramenti divisi. Ma questo, forse, va al di là delle strategie del governo Draghi. Confusione all’Italiana.