Il cardinale Bagnasco, "L'infanzia nei vicoli, le letture", la squadra di calcio per cui tifo..."

di Michele Varì

Da un caffè (a distanza) davanti alla Curia l'occasione per un'intervista fuori dagli schemi

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L'incontro con il cardinale Angelo Bagnasco è fortuito, davanti alla Curia, e davanti ad un bar d'asporto e grazie all'istintiva complicità dell'interlocutore si trasforma in un'intervista un po' fuori dagli schemi, meno ufficiale e seriosa rispetto a quella di pochi giorni fa in cui cardinale, come al solito, con certosina pazienza, dopo avere annunciato il nome del suo successore, il francescano padre Marco Tasca, aveva risposto ad ogni domanda dei numerosi giornalisti presenti. 


Il cardinale per prima cosa offre il caffè al cronista, poi prende il bicchierino di carte dell'asporto, gira lo zucchero e sorseggia il caffè.


Si parte dalla sua infanzia nei vicoli poco lontani, in piazza Sarzano, di quando bambino giocava nel centro storico, attorno alle macerie di via Madre di Dio che "purtroppo adesso non c'è più".  Parla dei suoi giochi e del prete e del curato che ai tempi delle medie lo hanno ispirato e gli hanno fatto sbocciare il fiore della vocazione per la vita da sacerdote, che subito non aveva svelato ai genitori. 


Eppoi le sue scuole medie, miste, prima del seminario, "con simpatie", ammette, ma niente fidanzatine ("perchè allora non si usava), come risponde con un sorriso ad una precisa domanda un po' pettegola.
 
Rievoca, il cardinale, e con lo sguardo sembra tornare a quegli anni, i giochi in strada con i compagni, le partite di calcio, "ma non ho mai giocato nei campi", il dispettoso divertimento di andare a suonare ai campanelli e fuggire, "eravamo birbe", il tirarsi le pietre. 

Racconta poi delle sue grandi letture, da Romano Guardini, sacerdote di origine italiana che ha insegnato in molte università tedesche, a Nietzsche, eppoi Leopardi, la letteratura greca, specialmente le grandissime tragedie greche. 

E' una libro aperto Bagnasco, ma le pagine si chiudono quando gli si chiede quale è la squadra di calcio per cui fa il tifo, come a non dividere i fedeli proprio al novantesimo minuto, "non ho una fede, ci mancherebbe altro" precisa, "ma una simpatia, ma mi hanno detto che non si dice..." conclude con sguardo sornione. 

Un consiglio al suo successore, il francescano Marco Tasca

"Come genovese quello di apprezzare la storia di Genova e del suo popolo, è un bel popolo, bisogna un po' entrarci dentro e sarà sicuramente una grande gioia per lui".

Poi saluta e sparisce nei suoi vicoli con due agenti della scorta